Le Linee guida AgID ai sensi dell’art. 71 del CAD: un decisivo passo avanti verso lo switch-off, tra l’affermazione dei principi archivistici e la necessità di ulteriori riflessioni per una concreta applicazione

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Come è noto il 10 settembre 2020 sono entrate in vigore le Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici emanate da AgID ai sensi dell’art. 71 del Codice dell’Amministrazione digitale.

Lungi dal condurre una analisi sugli impatti tecnici relativi alla loro applicazione, l’obiettivo di questo articolo e dei successivi approfondimenti è quello di sottolineare il valore delle Linee guida che, pur nella difficoltà di interpretazione di alcuni passaggi, danno nuovo smalto ai principi archivistici che hanno da sempre trovato terreno fertile, pur con le naturali problematicità, negli ambienti tradizionali, gli archivi cartacei, ma che hanno faticato ad affermarsi in ambiente digitale, vuoi per una generale propensione a sottovalutare la fragilità della produzione documentaria vuoi per un quadro normativo intricato e a volte non sempre lineare. L’articolo, inoltre, proverà a fornire una traccia delle principali norme di riferimento in materia di gestione documentale al fine di individuare l’ambito di intervento di ciascuna di esse.

L’iter approvativo

L’entrata in vigore delle Linee guida ha fatto seguito a un iter approvativo piuttosto lungo, la cui durata ha risentito dei rilievi che la Commissione europea ha mosso al testo notificato da AgID ai sensi Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio per il tramite del Ministero dello sviluppo economico, unità centrale di notifica verso la Commissione. I rilievi, contenuti nel parere circostanziato della Commissione, hanno riguardato, in particolare, la non conformità del regime di accreditamento e di vigilanza previsto per i servizi di conservazione digitale all’articolo 4, paragrafo 1 del Regolamento (UE) 2018/1807 sulla libera circolazione dei dati non personali, e all’articolo 3, paragrafo 4 della Direttiva 2000/31/UE sul commercio elettronico. Il Regolamento UE vieta agli Stati membri gli obblighi di localizzazione dei dati a meno che essi siano giustificati da motivi di sicurezza pubblica nel rispetto del principio di proporzionalità; la Direttiva UE specifica ulteriormente tale divieto.

Come da norma, il parere circostanziato ha prorogato di altri tre mesi, oltre ai tre necessari per il primo esame, il periodo di status quo. Pertanto, la procedura di notifica avviata il 4 novembre 2019 si è conclusa a maggio 2020 con il necessario adeguamento delle Linee guida ai rilievi mossi dalla Commissione. L’entrata in vigore della norma tecnica è stata però subordinata alla modifica della norma primaria, il Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs n. 82/2005) che, all’art. 29 comma 1 fissava l’obbligo dell’accreditamento per i soggetti che intendessero svolgere l’attività di conservatori. Il Regolamento UE, infatti, all’art. 4, comma 3 ha stabilito l’abrogazione entro il 30 maggio 2021 di tutti i dispositivi normativi dei Paesi membri di ostacolo alla libera circolazione dei dati. La modifica al CAD è arrivata con il D.L. n. 76/2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito con Legge n. 120 dell’11 settembre 2020.

Rispetto alle bozze in consultazione pubblica, dunque, di cui in parte abbiamo parlato in questo blog, il testo definitivo delle Linee guida, oltre alla fisiologica puntualizzazione e armonizzazione di alcuni passaggi sia nel documento principale che negli allegati presenta due novità significative: una da leggere parallelamente, appunto, al D.L. n. 76/2020 che ha eliminato l’istituto dei soggetti conservatori accreditati, l’altra relativa alla data entro la quale sarà obbligatorio adeguarsi: 270 giorni rispetto ai 180 previsti dalle bozze.

La norma tecnica e le norme primarie

Nel corso dei circa 6 mesi di vigenza diverse sono state le occasioni in cui gli operatori del settore hanno cominciato a riflettere sulle Linee guida, sulla loro applicazione, sulle modalità più idonee per adeguare gli strumenti alle regole tecniche esposte e sulla loro integrazione con le altre norme relative alla gestione documentale, con riferimento al panorama normativo nazionale e internazionale.

I dubbi e le difficoltà connesse con un fluido adeguamento tecnico e organizzativo rischiano di mettere in subordine la rivoluzione che dal 7 giugno 2021 riguarderà l’intero Paese: il passaggio alla dimensione digitale, infatti, non è più un obiettivo ma una realtà e la normativa può dirsi completa.

Il caposaldo nel panorama nazionale è rappresentato dal D.P.R. n. 445/2000, primo testo normativo dopo il R.D. n. 35/1900 che affronta le tematiche legate alla gestione dei documenti. Basti pensare che se l’obbligo di formazione degli originali digitali da parte della P.A. è riconducibile al Codice dell’Amministrazione digitale, l’obbligo di gestire i documenti informatici data ancora prima, proprio dal D.P.R. n. 445/2000.  Tale D.P.R. dedica alla gestione documentale gli articoli 50-70, ovvero l’intero capo IV che, nel corso del tempo, non ha subito modifiche. Le stesse Linee guida non hanno potuto modificare il D.P.R. né tantomeno le norme da esso discese, pensiamo ai sei articoli del D.P.R. 3 dicembre 2013 sul protocollo informatico che restano validi proprio perché emanati sulla base del Testo unico sulla documentazione amministrativa. Dunque, tuttora il D.P.R. n. 445/2000 rappresenta la norma di riferimento per la gestione documentale, tutto ciò che ha fatto seguito sono regole tecniche e linee guida che ne hanno specificato alcuni aspetti senza sostituirlo nella sua forza normativa. Anche il Codice dell’Amministrazione digitale, pur rappresentando una norma primaria, dedica pochi articoli alla gestione documentale (40-47) senza mettere in discussione né i principi del D.P.R. né la competenza del Ministero della cultura sugli archivi pubblici, a prescindere dal formato, analogico o digitale, della documentazione, in virtù di quanto stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs n. 42/2004). Lo stesso riferimento al fascicolo presente nel CAD, art. 41, non è di per sé esaustivo della complessità delle aggregazioni documentali di tipo “fascicolo” che una organizzazione produce, facendo il CAD esplicito riferimento ad una tipologia specifica di fascicolo, quello procedimentale, tra l’altro anche condivisa da più amministrazioni.

Alcune considerazioni

Alla luce delle sintetiche osservazioni sopra riportate, va interpretato, con ragionevole probabilità, uno dei punti delle Linee guida che desta maggiore attenzione per via degli impatti tecnici e organizzativi connessi con la sua applicazione: i metadati. Sebbene, per dichiarazione stessa delle Linee guida (par. 2.1.1), al momento della formazione del documento informatico immodificabile, devono essere generati e associati permanentemente ad essi i relativi metadati, è innegabile che il documento informatico non possa avere sin dal momento della sua formazione tutti i metadati previsti dall’allegato 5, non foss’altro perché alcuni di essi sono relativi al processo di lavorazione del documento medesimo, e che il nucleo minino necessario per la protocollazione resti quello fissato dal D.P.R. n. 445/2000, art. 53, comma 1 che, come abbiamo visto, non è stato abrogato.

Anche i principali elementi che consentono un generale apprezzamento della norma tecnica devono essere letti alla luce della normativa primaria di riferimento. Tali elementi possono essere racchiusi in un’unica parola: relazione. Dopo oltre vent’anni dal D.P.R. n. 445/2000, le Linee guida richiamano, ribadendone l’obbligo, i concetti di ordinamento, aggregazione documentale, archivio, scarto: in buona sostanza i principi che il D.P.R. n. 445/2000, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, la letteratura e la prassi archivistica definiscono, evidenziandone l’obbligo e la necessità.

Il limite, che getta qualche ombra sul lodevole richiamo di tali principi nelle Linee guida, è relativo, per certi aspetti, alla loro concreta applicazione al contesto informatico.  L’archivio informatico, le funzionalità di archivio di deposito, il processo di scarto necessitano di una riflessione adeguata al contesto digitale: la semplice trasposizione per enunciazione di tali principi in ambiente digitale rischia da un lato di rendere infruttuosi i tentavi dei singoli che, provando a ragionare al fine di adempiere all’obbligo per sola analogia con il contesto analogico, si scontrerebbero con i limiti naturali che l’ambiente digitale implica, dall’altro rischierebbe di tradursi in una occasione mancata per garantire una gestione organizzata, presidiata e consapevole del patrimonio documentario nazionale, nelle sue componenti, ibride o interamente digitali che siano.

Proveremo, con approfondimenti successivi, a descrivere la portata dei principi contenuti nelle Linee guida mostrando sin da ora un generale apprezzamento per lo sforzo corale e per la sintesi operata su tematiche trasversali che coinvolgono una molteplicità di settori, specialisti e competenze nel comune obiettivo di conferire al documento informatico e alle aggregazioni quegli elementi di robustezza necessari per garantire il vero switch-off.