Le Linee guida ai sensi dell’art. 71 del CAD: lo scarto in ambiente digitale, interrogativi aperti e nodi irrisolti

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Premessa

I documenti informatici e le aggregazioni documentali informatiche possono essere oggetto di selezione e scarto nel sistema di conservazione nel rispetto della normativa sui beni culturali. Così si apre il paragrafo 4.11 delle Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici. Il paragrafo definisce il processo di scarto per le organizzazioni che facciano conservazione in house e per le organizzazioni che facciano conservazione in outsourcing individuando attori e le attrici, responsabilità e azioni.

A prescindere dalla bontà del processo delineato, c’è un aspetto sul quale reputiamo opportuno riflettere in via prioritaria: la reale applicabilità dello scarto alle aggregazioni documentali informatiche. Come più volte evidenziato in questo blog, le Linee guida hanno il merito di aver riaffermato la necessità che i documenti debbano essere gestiti non nella loro singolarità ma in quanto relazione, attraverso l’applicazione di principi e strumenti propri della disciplina e della prassi archivistiche che, sebbene già presenti nelle norme vigenti, trovano proprio nelle Linee guida la loro chiara definizione e necessità di applicazione anche al contesto digitale. Sempre in questo blog abbiamo però evidenziato che talvolta l’affermazione di tali principi non è stata chiaramente definita in relazione al contesto digitale: la pura trasposizione di principi e strumenti di gestione delle aggregazioni documentali dal contesto analogico al contesto digitale lascia aperti alcuni interrogativi e irrisolti alcuni nodi circa la loro reale applicazione pratica al nuovo contesto. Lo scarto in ambiente digitale è un caso emblematico: le Linee guida per la prima volta, lodevolmente, definiscono il processo di scarto facendo salve le competenze del Ministero della cultura sui beni culturali (archivi pubblici e archivi privati dichiarati di interesse storico) ma lasciano aperta la questione di fondo: stante i principi e le regole attualmente esistenti per la conservazione digitale cosiddetta “a norma”, prevista dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005-CAD) Capo III – Gestione, conservazione e accessibilità dei documenti e dei fascicoli informatici, è realmente applicabile il processo di scarto delineato all’ambiente digitale?

Proviamo a fare qualche riflessione

In generale, la conservazione dei documenti, per meglio dire delle aggregazioni documentali, è definita dal piano di conservazione del soggetto produttore pensato in maniera integrata con il piano di classificazione. I tempi dettati dal piano di conservazione si riferiscono alla conservazione delle aggregazioni documentali (fascicoli e serie) a partire dalla loro chiusura per un periodo di tempo definito, scaduto il quale le aggregazioni devono essere scartate o conservate in maniera permanente perché destinate a far parte dell’archivio storico.

La normativa di riferimento per la conservazione archivistica degli archivi pubblici è rappresentata, in particolare, dal Codice dei beni culturali e del paesaggio [..] (D.Lgs. n. 42/2004) e dal Testo unico […] in materia di documentazione amministrativa (Dpr n. 445/2000 -TUDA).

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio attribuisce la tutela del patrimonio culturale, dunque anche dei beni culturali archivistici, qualunque sia la forma e il supporto adottato, al Ministero della cultura (art. 4) per il tramite degli uffici competenti (Direzione generale archivi, Archivi di Stato, Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, Archivio centrale dello Stato), il Dpr n. 445/2000 stabilisce che le pubbliche amministrazioni devono elaborare il piano di conservazione degli archivi integrato con il piano di classificazione al fine di definire criteri di selezione periodica e conservazione permanente della documentazione (art. 68), devono trasferire fascicoli e serie chiusi dall’archivio corrente all’archivio di deposito (art. 67) e trasferire agli archivi storici competenti la documentazione soggetta a conservazione permanente (art. 69). Sia il Codice dei beni culturali che il TUDA evidenziano l’organicità dei trasferimenti e della conservazione: il Codice stabilendo che gli archivi siano conservati nella loro organicità (art. 30, comma 4), il TUDA stabilendo che il trasferimento dall’archivio corrente all’archivio di deposito avvenga nel rispetto dell’organizzazione che fascicoli e serie avevano nell’archivio corrente e dall’archivio di deposito all’archivio storico unitamente agli strumenti che ne garantiscono l’accesso. Il Codice inoltre stabilisce, per Legge, i periodi a partire dai quali devono avvenire i trasferimenti, per meglio dire i versamenti, previe operazioni di scarto, della documentazione a conservazione permanente all’archivio storico competente (rete degli archivi di Stato per gli archivi statali, proprio archivio storico per tutti gli altri archivi pubblici), artt. 30 e 40:

  • oltre 30 anni per i documenti degli organi giudiziari e amministrativi dello Stato;
  • 70 anni dopo l’anno di nascita della classe cui si riferiscono le liste di leva e di estrazione;
  • 100 anni dalla cessazione dei notai per gli archivi notarili;
  • oltre 40 anni per i documenti degli enti pubblici (regioni, e altri enti pubblici).

Con l’avvento della produzione digitale dei documenti, la gestione delle operazioni di scarto che prima riguardava unicamente documenti analogici ha riguardato anche la produzione documentale nel nuovo formato con risvolti tanto più complessi in relazione alla necessità di garantire nel tempo oltre alla conservazione permanente (archivio storico) di alcuni documenti e aggregazioni, anche la loro conservazione immediata per ragioni che potremmo sì definire tecniche ma comunque finalizzate a garantire la validità del documento: in sostanza i rischi dovuti all’obsolescenza hanno reso i processi di conservazione talmente critici, da aver indotto il legislatore italiano a stabilire interventi di protezione molto precoci che si concretizzano talvolta in una forma di conservazione immediata per alcune tipologie di documenti: il registro giornaliero di protocollo da inviare in conservazione entro la giornata lavorativa successiva, le fatture elettroniche che pure hanno dei tempi di invio in conservazione molto brevi rispetto al momento della loro formazione rappresentano alcuni esempi.

In particolare, il Codice dell’amministrazione digitale, art. 44, comma 1-bis, stabilisce che, Almeno una volta all’anno il responsabile della gestione dei documenti informatici provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie anche relative a procedimenti non conclusi. Se confrontiamo questo articolo con il citato articolo 67 del TUDA che stabilisce che Almeno una volta ogni anno il responsabile del servizio per la gestione dei flussi documentali e degli archivi provvede a trasferire fascicoli e serie documentarie relativi a procedimenti conclusi in un apposito archivio di deposito costituito presso ciascuna amministrazione, che Il trasferimento deve essere attuato rispettando l’organizzazione che i fascicoli e le serie avevano nell’archivio corrente e che il responsabile del servizio per la gestione dei flussi documentali e degli archivi deve formare e conservare un elenco dei fascicoli e delle serie trasferite nell’archivio di deposito, appaino immediatamente evidenti due elementi divergenti:

  • Il TUDA riferisce il trasferimento ad aggregazioni chiuse, il CAD anche ad aggregazioni aperte;
  • Il TUDA, prima ancora del trasferimento della documentazione all’archivio storico competente, stabilisce che le aggregazioni siano trasferite presso l’archivio di deposito, il CAD non fa alcun riferimento all’archivio di deposito né all’archivio storico, ma al sistema di conservazione dei documenti.

Ancora. Se confrontiamo il medesimo articolo 44, comma 1-bis del CAD con quanto stabilisce il Codice dei beni culturali in relazione al versamento all’archivio storico dei documenti emerge che il versamento previsto per Legge dal Codice dei beni culturali non contempla la duplicazione dei documenti, i documenti vengono consegnati all’istituto conservatore o conservati in una sezione dedicata all’archivio storico, senza che continuino ad esistere anche presso l’archivio corrente o di deposito del soggetto produttore, la trasmissione prevista dal CAD può comportare anche la duplicazione: spesso i soggetti produttori trasmettono al sistema di conservazione documenti e aggregazioni senza eliminarli dal sistema di gestione informatica, del resto molte volte si tratta di documenti e aggregazioni ancora occorrenti per la gestione corrente delle pratiche.

Le Linee guida sulla formazione gestione e conservazione dei documenti informatici provano a coniugare gli aspetti propri della conservazione digitale archivistica con le esigenze della conservazione digitale “a norma” del CAD, facendo riferimento al piano di conservazione, all’archivio di deposito, al trasferimento al sistema di conservazione sia di aggregazioni chiuse che di aggregazioni aperte, alla scarto da effettuarsi nel sistema di conservazione ma anche in tutti i sistemi gestiti dal soggetto produttore nel rispetto della normativa in materia di beni culturali. Di seguito i passaggi principali:

  • I termini entro cui i documenti informatici e le aggregazioni documentali informatiche devono essere trasferiti in conservazione sono stabiliti in conformità alla normativa vigente e al piano di conservazione (§ 3.8);
  • nella Pubblica Amministrazione, il sistema di gestione informatica dei documenti trasferisce al sistema di conservazione […]: a) i fascicoli informatici chiusi e le serie informatiche chiuse, trasferendoli dall’archivio corrente o dall’archivio di deposito; b) i fascicoli informatici e le serie non ancora chiuse trasferendo i documenti in essi contenuti sulla base di specifiche esigenze dell’ente, con particolare attenzione per i rischi di obsolescenza tecnologica (§ 4.1);
  • il sistema di conservazione assicura, dalla presa in carico fino all’eventuale scarto, la conservazione dei seguenti oggetti digitali in esso conservati […]: i documenti informatici e i documenti amministrativi informatici con i metadati ad essi associati; le aggregazioni documentali informatiche (fascicoli e serie) con i metadati ad esse associati (§ 4.1);
  • i documenti informatici e le aggregazioni documentali informatiche possono essere oggetto di selezione e scarto nel sistema di conservazione nel rispetto della normativa sui beni culturali (§ 4.11);
  • I documenti e le aggregazioni documentali informatiche sottoposti a scarto nel sistema di conservazione devono essere distrutti anche in tutti i sistemi gestiti dal Titolare dell’oggetto di conservazione (§ 4.11).

Per quanto apprezzabile sia il tentativo delle Linee guida di regolamentare una materia complicata, permangono i problemi di fondo cui facevamo riferimento in apertura. Le due conservazioni, quella prevista dal Codice dei beni culturali e quella prevista dal CAD, si fondano su due principi diversi: la prima è finalizzata a stabilire il periodo di conservazione delle aggregazioni documentali consegnando all’archivio storico unicamente le aggregazioni destinate alla conservazione permanente, la seconda è finalizzata a superare le fragilità dei documenti informatici in termini di integrità, immodificabilità, validazione temporale, riconducibilità del documento al suo autore ai fini della sua efficacia probatoria.

Per concludere

Per quanto attiene alla necessità, mai messa in discussione dalle norme ma per un certo periodo di tempo passata in secondo piano rispetto alla ineludibile immediatezza della conservazione digitale, ormai sempre più consapevole di estendere la conservazione a lungo termine agli archivi digitali, è inevitabile osservare che gli attuali modelli di conservazione digitale mal si conciliano con le esigenze di scarto. Seppure le Linee guida rappresentino in questo senso un primo passo verso la definizione di una questione complessa, sembrerebbe irrisolto, almeno per ora, il nodo centrale: come coniugare quanto previsto per la gestione degli archivi in ambito beni culturali, con i vincoli tecnologici dei pacchetti di archiviazione che, come è noto, possono contenere documenti riconducibili ad aggregazioni differenti. A questa riflessione se ne collegano altre, in primo luogo la necessità di prevedere anche in ambiente digitale un momento che molti archivisti definiscono di decantazione della documentazione – il riferimento è all’archivio di deposito – prima ancora dell’archivio storico.

Sui temi legati alla conservazione digitale archivistica il documento Progetto Poli di conservazione. Definizione di un modello di riferimento per i Poli di Conservazione e della relativa rete nazionale, a cui abbiamo già fatto riferimento in questo blog, per un lato fornisce un quadro chiaro e completo della questione indicando le caratteristiche proprie delle due fattispecie di conservazione, quella a breve/medio termine (l’attuale conservazione digitale secondo il CAD) e quella a lungo termine/permanente (la conservazione digitale archivistica come da Codice dei beni culturali), per l’altro evidenzia come solo in un contesto di custodia qualificata, affidata ad adeguati profili professionali e a conoscenze interdisciplinari, che può essere affrontato in forme e a costi sostenibili il difficile nodo di mantenere, nel medio e nel lungo periodo e ancor più, quando necessario, a tempo indefinito, non solo l’autenticità dei documenti e degli archivi digitali, ma anche la loro intelligibilità per le comunità di utenti che di essi dovranno far uso.

In questo contesto il documento, in linea con il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2019-2021, individua per la conservazione digitale degli archivi pubblici, oltre alla rete degli archivi di Stato – l’Archivio centrale dello Stato ha ricevuto per decreto ministeriale (D.M. 7 ottobre 2008 recante il regolamento interno dell’Archivio centrale dello Stato, art. 6, comma 2; D.P.C.M. 169/2019 Regolamento di organizzazione del Ministero della cultura […]) il mandato di costituire il “Repository degli archivi digitali degli organi centrali dello Stato” per conservare la documentazione digitale e, di conseguenza, precisa il documento, di individuare, sperimentare e adottare procedure e strumenti per la conservazione e fruizione permanenti da applicare a tutti gli Istituti conservativi dell’Amministrazione archivistica – i poli di conservazione. La risposta a tali esigenze, si legge nel documento, potrebbe essere rappresentata dai Poli di conservazione, come indica anche lo stesso Piano triennale: “Per quanto riguarda la conservazione permanente, cioè a fini di memoria storica, le amministrazioni possono rivolgersi ai Poli di conservazione, cioè a quei Poli strategici nazionali che svolgono anche funzioni di conservazione”.

Se dunque, semplificando, l’indirizzo sembrerebbe quello di prevedere per gli archivi dello Stato la conservazione da parte dello Stato (Archivio centrale dello Stato e rete degli Archivi di Stato), come già accade per la documentazione cartacea, e per gli altri archivi pubblici la conservazione a cura dei poli di conservazione, la vera conservazione digitale archivistica sembrerebbe ancora da costruirsi, lo stesso documento Progetto Poli di conservazione mette a confronto le esperienze di lavoro sulla Rete dei Poli di conservazione per consentire il confronto delle esperienze, enucleando le caratteristiche tecniche e organizzative che le accomunano e/o che le distinguono, anche al fine di evidenziare le criticità in tema di interoperabilità tra le piattaforme coinvolte.

Nonostante il problema resti aperto, è significativo che gli organi competenti stiano cercando di affrontare la questione in maniera integrata: solo la collaborazione tra il Ministero della cultura e le autorità competenti in materia di trasformazione digitale può individuare un percorso che consenta di tracciare degli scenari applicabili non solo agli archivi pubblici ma anche archivi privati (non dichiarati di interesse storico) che quotidianamente si confrontano con la conservazione digitale “a norma” che anche per loro è un obbligo al pari dei soggetti pubblici stabilito dal CAD. L’importanza che anche gli archivi privati rivestono per il nostro Paese resta indiscussa, pur non essendo beni culturali rappresentano comunque una memoria da preservare a lungo termine al di là della necessità contingente di garantirne il valore probatorio.

Torneremo su questi temi con approfondimenti successivi.